lunedì 27 aprile 2009

Quale Piano per la casa?

Pensare lo spazio urbano: la proposta dell’Istituto Nazionale di Urbanistica
di Simone Ombuen (segretario generale dell’Istituto Nazionale di Urbanistica e membro del Direttivo INU Lazio)

Sin dalle prime avvisaglie di una possibilità di intervento del Governo nel merito dei temi edilizi ed urbanistici in chiave di rilancio economico si è rilevata un’ampia diversificazione delle posizioni, e la necessità di presidiare il tema con delle elaborazioni che entrassero nel merito delle ipotesi annunciate. La vaghezza e la contraddittorietà dei testi via via rilasciati e le modalità di relazione assunte dal Governo nei confronti dei soggetti e delle sedi istituzionalmente preposte alla valutazione del provvedimento danno l’occasione per alcune valutazioni sia nel merito dei problemi che nei metodi utilizzati, sia pur ancora in pendenza di una proposta ridefinita da parte del Governo (al 16.04.09).

Edilizia e sviluppo economico
Non vi è dubbio che un elemento di relazione fra Governo del territorio e sviluppo economico esista. Prova ne sia il lungo elenco di provvedimenti di contenuto sostanzialmente urbanistico che nella storia della Repubblica, a volte impropriamente, sono stati rubricati come provvedimenti per lo sviluppo economico e l’occupazione, a partire dal famoso Piano Fanfani. La pianificazione urbanistica è il principale strumento per la ripartizione delle rendite urbane fra i proprietari immobiliari, e presidia gli assetti del sistema produttivo e la realizzazione delle infrastrutture, elementi di rilevantissimo impatto economico. Inoltre il sistema insediativo svolge anche, ed in misura crescente, un compito di “fissaggio” del reddito e del plusvalore prodotto a fronte della sempre maggior velocità di ristrutturazione dei cicli produttivi e crescente labilità del sistema finanziario internazionale, afflitto ormai da molti anni da periodiche e gravi perturbazioni, anche molto prima dei recenti gravi fatti.In merito a tale rapporto il centro della proposta INU è costituito dal rilancio della progettualità pubblica, strutturale e strategica, concepita secondo i nuovi principi di sussidiarietà verticale - fra i diversi soggetti del governo pubblico - ed orizzontale - fra pubblico privato e terzo settore. Realizzata attraverso gli strumenti della copianificazione / programmazione integrata e del partenariato pubblico-privato. Sostanzialmente un metodo di nuova programmazione che attraverso la definizione di orientamenti ed obiettivi di lungo periodo per la cura e la trasformazione dei fattori produttivi territoriali essenziali svolga la funzione di costruzione di scenari stabili in riferimento ai quali ricostruire il tessuto delle aspettative dei diversi soggetti economici e sociali, e avviare un nuovo ciclo di investimenti.
In un momento di grave crisi economica l’intento di rilanciare gli investimenti e la domanda interna è in linea generale condivisibile. Le proposte del Governo tendono tuttavia per alcuni aspetti ad opporre necessità contingenti a scelte di lungo periodo, e rischiano così di far sfuggire l’occasione di cambiare il modello di sviluppo del Paese, correzione più semplice in un momento di profonda ristrutturazione, nel quale a causa della contrazione della domanda l’investimento in ulteriore capacità produttiva non ha senso, mentre gli unici investimenti che pagano sono quelli in risparmio e nell’innovazione che apre nuovi mercati e prodotti, nuove domande. In particolare l’orientamento di mobilitare la capacità d’investimento dei piccoli risparmiatori a favore di un incremento dei consumi abitativi (il 20% di ampliamenti per le villette) rischia di sottrarre energie alla realizzazione del recupero dei veri elementi di ritardo del Paese, vale a dire la sua dotazione di beni pubblici territoriali (infrastrutture, servizi), che più marcatamente segnano la sua distanza dall’Europa.

Semplificazione e controllo pubblico
Quanto ai temi di sussidiarietà, semplificazione e razionalizzazione, un incompleto processo di transizione verso nuovi principi sussidiari nell’organizzazione del sistema di governo del Paese e la perenne interruzione di tutti i percorsi riformisti tentati negli ultimi 17 anni ci consegnano un sistema di governo complesso e per certi versi incomprensibile, cariato da inefficienze e non informato dai principi di autonomia / responsabilità e leale collaborazione. La necessità di tutelare un numero sempre crescente di beni comuni non riproducibili, che vengono così attratti nella sfera dell’intervento pubblico, ha moltiplicato nel numero e nei livelli i soggetti dotati di poteri interdittivi, senza che alla maggior consapevolezza delle tutele si accompagnasse una più elevata eppur necessaria capacità di progetto complessivo. Su questi aspetti la proposta INU, attenta a pervenire a sostanziali semplificazioni nel rispetto della inevitabile complessità nella gestione dei beni pubblici in questione, è incentrata sulla copianificazione, un istituto che si basa su principi di trasparenza, razionalità ed efficienza. Esso prevede la compresenza di tutti i poteri pubblici pertinenti agli atti deliberativi (sussidiarietà verticale), con la formazione di quadri conoscitivi condivisi e preliminari che evitino che l’esercizio di competenze separate si possa tradurre di fatto in una carie dei principi di responsabilità e leale collaborazione. L’accertamento preventivo fra soggetti pubblici dei termini di tutela e trasformabilità consente poi al successivo momento operativo di essere sviluppato in piena autonomia al livello più prossimo al cittadino, ed in collaborazione fra pubblico e privato (sussidiarietà orizzontale).
Dal suo canto il Governo dà le viste di voler ridurre in misura consistente le funzioni di regolazione e controllo, affidando gli elementi tecnici alla competenza di singoli professionisti e gli elementi estetici e qualitativi al buon gusto della popolazione. Ciò rischia di veicolare un messaggio di sostanziale svilimento delle funzioni pubbliche di governo delle trasformazioni. Un approccio nel quale la semplificazione viene perseguita con il troncamento della complessità anziché attraverso la sua comprensione, e che segnala un rilevante scarto rispetto al percorso prescelto in sede di Unione europea, ambito nel quale dalla valutazione integrata alla Carta europea del Paesaggio alla strategia energetica 20-20-20 tutte le più rilevanti politiche si distinguono per sollecitare un più elevato livello di consapevolezza della crescente ed inevitabile complessità ed interdipendenza con la quale le questioni di governo vanno proponendosi, tanto più nei loro aspetti territoriali.
Anche per quanto riguarda la revisione del Testo Unico Edilizia, sul quale si concentrano gran parte delle residue attività del Governo ora che il tema ampliamenti è stato sostanzialmente regionalizzato, va rilevato che l’idea di abrogare ogni titolo abilitativo per le attività di straordinaria manutenzione e per i cambi di destinazione d’uso rischia di rendere più complessa l’opera di controllo delle trasformazioni anziché agevolarla.

Razionalizzare il consumo del suolo
Vi sono poi gli aspetti relativi a demolizione/ricostruzione, messa in sicurezza, efficienza energetica e sostenibilità ambientale, consumo di suolo. Qui va rilevato come la maggior parte del patrimonio edilizio del Paese, realizzato fino agli anni ’70, è caratterizzato da diffusi fenomeni di degrado edilizio, da scarsa qualità dell’ambiente al contorno, dal mancato adeguamento alla normativa sismica e da un rilevante tasso di inefficienza energetica. Elementi che a loro volta producono una generale insostenibilità ed insicurezza ambientale dell’urbano.
L’INU ha da tempo messo al centro della propria azione il tema della sostenibilità ambientale degli insediamenti e della necessità di iniziative di demolizione e ricostruzione con finalità di riordino insediativo, di efficienza energetica. In particolare con una lunga campagna condivisa con ANCE e Legambiente, iniziata nel 2001 e sviluppata in una serie di iniziative. Più di recente l’INU ha posto la centralità della riflessione sulla riduzione dei consumi di nuovo suolo, e della costruzione di politiche attive per la riduzione di tali consumi per annullarli progressivamente.Oggi non può che dar soddisfazione il vedere temi da lungo tempo promossi dall’INU divenire elementi di proposte di governo. Occorre tuttavia rilevare che l’ipotesi di sganciare le iniziative di demolizione e ricostruzione e di efficientizzazione energetica da obiettivi di riordino territoriale ed insediativo genera il rischio che in nome di un puro aumento dell’attività edilizia e dei consumi abitativi si finisca per agevolare trasformazioni anche su edifici e in contesti nei quali esse risulterebbero improprie o nocive, come accadde con i contributi del 36% che sono stati utilizzati anche per ristrutturare immobili abusivi non condonati o edifici, siti negli alvei dei fiumi o in zone affette da grave rischio idrogeologico, che sarebbe meglio demolire. Va poi valutato il fatto che, pur se più efficiente dal punto di vista energetico, in linea di massima un edificio più grande tende comunque ad avere consumi energetici maggiori di un edificio piccolo.
Inoltre, nell’ipotesi di trasferimento dei volumi nelle operazioni di demolizione / ricostruzione esiste la fondata possibilità che il bilancio urbanistico non sia affatto a saldo zero, ma che si generi comunque una domanda aggiuntiva di realizzazioni urbanizzative che, anche ove risultasse ambientalmente sostenibile sarebbe bisognoso di specifica copertura economica e di implementazione operativa.Infine, una manovra sul fronte dell’efficienza energetico-ambientale non è completa se non consente il varo contestuale di misure di contabilità ambientale che mettano gli enti locali protagonisti di tali politiche in grado di emettere certificati bianchi sul mercato delle emissioni a parziale recupero dei sovraccosti sopportati, così come evidenziato nelle attività svolte da INU in collaborazione con l’Associazione Agenda 21 Italia.

Un tributo urbanistico ordinario di scopo
Quanto ai temi del partenariato per la realizzazione delle dotazioni territoriali pubbliche, del recupero di risorse e della fiscalità, va segnalato che l’economia pubblica italiana è da tempo particolarmente affaticata da uno dei debiti pubblici procapite più alti del Mondo, che pesa come un macigno sulla possibilità degli enti di governo del territorio di avviare credibili manovre economico-finanziari e sul patrimonio. In tali condizioni la produzione di beni pubblici è necessariamente poggiata sulla costruzione di rapporti partenariali con i soggetti privati, che dalla realizzazione dei beni pubblici ricavano anche le quote più significative di vantaggi economici.
Tale stato di cose è stato accentuato dalla abolizione della principale forma di fiscalità immobiliare, l’ICI, che ha anche privato i comuni di una fonte stabile e rilevante di mezzi propri. Con l’abolizione dell’obbligo di destinazione dei contributi e degli oneri urbanizzativi alla realizzazione delle dotazioni territoriali, avvenuto nel 2001, gli enti di governo del territorio non dispongono più di un flusso di risorse specificatamente destinato a tale scopo. Infine l’aggravamento della crisi economica, con la riduzione dei flussi di transito, sta via via facendo saltare le condizioni di sostenibilità economico-finanziaria delle operazioni di PF già avviate, e producendo una progressiva marginalizzazione di tale strumento, in particolare per le operazioni di importo medio-alto (cfr. http://www.infopieffe.it/).
La proposta INU è da tempo orientata alla costruzione di partenariati che consentano la realizzazione delle dotazioni territoriali, sia attraverso i nuovi istituti della perequazione e della compensazione, sia con l’utilizzo delle varie forme di project financing, sia con la previsione a regime di manovre sul patrimonio immobiliare degli enti locali, che agevoli la formazione di demani e patrimoni immobiliari da porre a base di politiche urbanistiche e di valorizzazione insediativa.
Nell’attuale condizione di crisi poi per la costruzione del partenariato economico è indispensabile un buon livello di coordinamento tra studi di sostenibilità economico-finanziaria e caratteri della progettazione urbanistico-territoriale, giacché in una condizione di crescenti incertezze il principale elemento di ricostruzione dell’opportuno livello di fiducia è la redazione di elaborazioni particolarmente scrupolose e aderenti alla realtà in atto, elaborazioni molto facilitate nel caso di strumenti di governo del territorio coerenti rispetto alla proposta culturale dell’INU.
È infine auspicabile l’avvio del dibattito per la reintroduzione di un tributo urbanistico ordinario di scopo, da tutti gli immobili, che vada a costituire la piattaforma di base della sostenibilità finanziaria della vita dell’ente territoriale, e all’interno del quale, attraverso opportune modulazioni, divenga possibile articolare specifici programmi di riqualificazione e di incremento della dotazione infrastrutturale dei sistemi urbani.
In questo campo gli atteggiamenti del Governo sono vari e poco decifrabili; se da un lato si evidenzia una spinta alla dismissione dei patrimoni pubblici al fine di reperire risorse fresche e non produrre politiche in debito, dall’altro l’esercizio degli stringenti vincoli del Patto di Stabilità dimostra l’intenzione di contenere e/o ridurre il grado di autonomia locale nella gestione delle politiche fondiarie. Va inoltre considerato che in caso di rinegoziazione delle risorse ordinarie e della distribuzione del debito storico fra i diversi enti titolari del governo del territorio, al parziale alleggerimento del carico di debiti dello Stato centrale corrisponderebbe un pesante aggravamento dei bilanci dei vari soggetti del sistema delle autonomie, con ulteriore peggioramento dei relativi rating.

La Riforma federale e il territorio
Il quadro del campo legislativo che ci ha lasciato l’ultima riforma del Titolo V della Costituzione è ancora complesso e attraversato da ricorrenti incertezze, sempre appeso agli esiti dei lavori della Consulta. Tanto più grave appare poi la situazione della materia “governo del territorio”, materia trasversale per definizione, nella quale la corretta interpretazione ed allocazione di funzioni riveste sempre caratteri problematici.
Da tale condizione è venuto via via emergendo con forza il ruolo della Conferenza unificata Stato-regioni-città, luogo ultimo di concertazione fra i principali soggetti istituzionali portatori ad oggi di competenze in materia. Tuttavia ad oggi emergono ancora rilevanti contraddizioni, giacché i poteri legislativi sono radicati nel Parlamento e nei Consigli regionali, mentre la Conferenza unificata è tipicamente luogo d’incontro degli esecutivi, organi di rado dotati di poteri diretti in materia di legislazione (salvo decretazione d’urgenza).
L’INU ha da tempo colto la rilevante complessità generata dall’avvio a regime della riforma federalista, di fatto già incompiuta all’atto della sua formulazione. In tal senso ha esplicitamente avviato le attività di consultazione con il Parlamento e con Stato e regioni e i principali soggetti della rappresentanza locale organizzata (ANCI, UPI, Uncem) al fine di addivenire a un percorso condiviso per la definizione della legislazione quadro per il governo del territorio.
Le ultimissime vicende relative al cosiddetto “piano-casa” del Governo hanno dimostrato come anche in sede governativa in alcuni passaggi il livello di comprensione della complessità delle relazioni interistituzionali cui è giunta la vita democratica del Paese è risultato essere assai scarso, con il rischio di generare effetti di scollamento e disgregazione. Di certo il varo dell’intesa approvata in Conferenza Unificata in data 1 aprile ha rappresentato un sostanziale ripristino del rispetto dei diversi ruoli istituzionali. In particolare l’INU ha salutato con favore la decisione di attribuire comunque alla pianificazione locale il compito di definire gli ambiti urbani nei quali consentire l’esercizio dei modesti incrementi volumetrici consentiti in via straordinaria, visto che è solo la pianificazione comunale quella in grado di svolgere una corretta valutazione degli effetti locali di tali trasformazioni.

Ora, anche a causa degli eventi sismici d’Abruzzo, che hanno riportato all’attualità le questioni relative alla protezione sismica e alla sicurezza sismica degli edifici, l’ampiezza e la rilevanza dei temi all’ordine del giorno rendono viepiù attuale un intervento legislativo organico per la materia “governo del territorio”, oggi giacente all’attenzione della Commissione VIII della Camera dei Deputati con varie proposte di legge. Tuttavia, paradossalmente, è proprio la pressione del concitato incedere del Governo, che medita persino di introdurre elementi normativi su perequazione e compensazione “in stralcio”, che oggi limita fortemente l’esercizio legislativo da parte dei competenti organi parlamentari.
D’altro canto la recente esperienza del tavolo di lavoro delle Regioni ha mostrato come per la prima volta da molti anni il coordinamento tra le regioni, messo alla frusta dall’urgenza del Governo, abbia saputo segnare un punto di accordo positivo, che ove trovasse conferme potrebbe costituire un importante precedente per le attività di approfondimento e concertazione che il varo di una riforma quadro di livello statale comporterebbe.

[articolo pubblicato su Governare il territorio (periodo telematico a cura della Lega delle Autonomie) anno 6 n. 3/2009 - http://www.governareilterritorio.it/index.php?option=com_content&task=view&id=207&Itemid=1]

1 commento:

  1. Riceviamo e pubblichiamo volentieri questo commento da Pietro Garau.

    Ringrazio Simone Ombuen per l’elegante e competente pezzo sul “piano casa”, cui vorrei aggiungere un paio di notazioni.
    Sul fatto che “La pianificazione urbanistica è il principale strumento per la ripartizione delle rendite urbane fra i proprietari immobiliari” non c’è che da essere d’accordo, magari per sottolineare la iattura di questa situazione. Lo stesso dicasi per il fatto che il “sistema insediativo svolge anche, ed in misura crescente, un compito di “fissaggio” del reddito e del plusvalore prodotto” “in un clima di incertezza”; fatto peraltro non certamente auspicabile, in primo luogo per il territorio ma anche ed egualmente per l’economia (l’Italia è infatti il paese che accoppia un’economia da paese in via di sottosviluppo a valori immobiliari paragonabili a quelli di paesi ben più avanzati).
    Io sarei stato forse meno caritatevole di Simone nel dare al piano casa l’etichetta di “sforzo di rilancio dell’economia”. A mio parere, gli aspetti da sottolineare in questo pasticciaccio brutto sono da una parte la sua evidente valenza di richiamo elettoralistico, e dall’altra l’essere prova generale della vera riforma urbanistica che il governo in carica ha chiaramente in animo di produrre – una riforma ahimè assai diversa da quella preparata con amore dall’INU e messa poi a raffreddare fuori dalle finestre del parlamento.
    Comunque: l’aspetto centrale sul quale concordo con entusiasmo è che proprio la crisi avrebbe potuto e dovuto essere, come dice Ombuen, l’occasione per lanciare un diverso modello di sviluppo. (Al di là dell’Atlantico ha ripreso quota un vecchio detto – Don’t Waste a Crisis).
    È proprio in questa direzione che dovremmo riflettere di più. Non sono affatto certo che la formula un po’ vecchia del partenariato pubblico-privato, citata da Simone a mo’ di esempio, sia proprio il nuovo modello che andiamo cercando. Per fare che poi? Ancora più perequazioni? Nuove strutture e infrastrutture, parchi scuolette piste ciclabili piazzine piazzette, per dirla alla Arbasino?
    Mi domando invece se non sia questo il momento per rilanciare proposte forti proprio per avvalorare l’aspirazione di nuovo livello di sviluppo auspicata da Ombuen. In primis, lasciando perdere idee di rilancio dell’economia, se è di questa economia che stiamo parlando. E invece affrontando, ad esempio, il tema tabù della proliferazione del numero di automobili in circolazione (a Roma ci stiamo avvicinando, a quanto pare, al rapporto di un autoveicolo per abitante). Il che significa fare meno, e non più, parcheggi; tassare di più gli autoveicoli privati in ragione della loro spudorata occupazione dello spazio pubblico; puntare sulla raggiungibilità e la prevenzione degli spostamenti inutili, piuttosto che sulla mobilità ad ogni costo; attivando così attività ed impieghi virtuosi del lavoro, delle intelligenze e quindi del territorio. In termini della compianta ICI, felicitarsi della sua scomparsa almeno nella misura in cui si trattava di una tassa perversa atta ad incentivare, da parte dei comuni, la proliferazione degli investimenti immobiliari, ed invece pensare ad un’ICI in negativo (premi a chi non spreca nuovo suolo, e bastonate a chi lo spreca, secondo il principio che il consumatore paga). E così via.
    Vogliamo attivare un dibattito tra urbanisti su misure e politiche non necessariamente urbanistiche per conseguire l’obiettivo condiviso di un modello di sviluppo più equo, intelligente e sostenibile?

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